martedì, luglio 04, 2006

Il caso

Il caso. Il caso aveva permesso il nostro primo incontro, in chat. Il caso aveva concesso la ricongiunzione delle due metà della mela troppo a lungo separate. Il caso aveva consentito che un amore ritrovato non dovesse essere cancellato per timore di fare del male a chi amavamo. Perché non doveva essere il caso a regnare sovrano sul nostro primo incontro dal vivo? Quanto ho dovuto scontrarmi con Sandro su questo suo modo di voler lasciare fare tutto al caso! In realtà io mi preoccupavo, e molto, soprattutto per lui. Eravamo a Roma, lì c’era tutta la sua famiglia non volevo lasciare che per una stupidaggine qualcuno vedendoci avesse potuto mandare all’aria il nostro amore. Bè, in realtà ero molto preoccupata per noi, egoisticamente parlando. Se qualcuno avesse sospettato qualcosa, questo avrebbe significato la fine dell’aria eterna. Non volevo perderlo. Non potevo rinunciare a lui. E così, a costo di essere presa per una tirannica rompiscatole insistevo ogni giorno, estorcevo promesse, in fondo non chiedevo la luna, solo decidere, in un lasso di tempo ragionevole, dove ci saremmo incontrati.

Eppure è stato arduo, Sandro prendeva appunti per ricordarsi di farlo l’indomani, ma glissava. Sembrava fosse su una pista da sci, le mie insistenze altro non erano che degli ostacoli sul suo cammino da evitare accuratamente, quasi potessero altrimenti diventare di un’estrema pericolosità.

Avevo provato a mettere il broncio, ma non serviva, non ne ero capace.

Facevo dei timidi accenni al fatto praticamente ogni volta che ci sentivamo, ma sembrava fare davvero orecchi da mercante.

Ero arrivata ad implorarlo, volevo solo sapere dove ci saremmo incontrati, poi avrei tralasciato l’argomento.

Ma non ci fu nulla da fare. Era una cosa che mi preoccupava, mi intimoriva e quando giunse ormai incipiente il giorno della partenza, Sandro percepì questa mia preoccupazione, addossandone però la colpa al fatto che potessi non essere conforme all’idea che si era fatta della mia persona.

Quindi continuava a rassicurarmi, a dirmi che mi avrebbe trovato come la più bella della donne, perché tale ero per lui. Gli dissi che dopo due anni da quando c’eravamo incontrati, questa era la prima volta che un suo comportamento mi deludeva.

Drizzò le orecchie, non capiva a cosa stessi facendo riferimento.

Gli spiegai quanto per me sarebbe stato importante, e perché, sapere da subito dove ci saremmo incontrati, mentre lui non aveva dato il minimo peso alle mie richieste. Lo avevo pregato, sapeva quanto per me fosse addirittura fondamentale, ma non c’era stato niente da fare. Tutto questo potevo leggerlo solo come un segno di completo disinteresse e noncuranza verso quelli che erano i miei sentimenti, le mie esigenze, le mie necessità. Ovviamente non era vero, Sandro non ha mai fatto qualcosa, da quando lo conosco, senza prima pensare soprattutto a me. Ma sapevo benissimo che questo era un suo punto debole, che si sarebbe sentito un po’ ferito da questo mio pensiero e che per dimostrarmi quanto sbagliassi, avrebbe finalmente proferito il nome di quella benedetta località! Urrà! Piazza di Spagna! Perfetto per entrambi.
E così è stato, o meglio, così avrebbe dovuto essere.

Fu il caso, ovviamente, a decidere per noi.

Quanto di pianificato avrei voluto fra noi, mai ci è stato consentito. Ogniqualvolta abbiamo organizzato precedentemente qualcosa fra noi, mai si è realizzato quanto progettato. Anche questa volta non ci furono eccezioni.

Ricordo benissimo quella mattinata di inizio dicembre. Ero arrivata alla stazione insieme a Daniel, poi insieme ai miei genitori l’avevamo accompagnato all’aeroporto per raggiungere Oslo.

Una volta a casa avevo fatto una rapida doccia, per scrollarmi di dosso la nottata in vagone letto, avevo passato un buon quarto d’ora davanti allo specchio, cercando di apparire un pochino più bellina di quanto fossi. Avevo scelto accuratamente l’abbigliamento: una gonna lunga, di lana marrone, una camicetta di seta sbottonata sino al punto giusto, calze autoreggenti, un paio di scarpe con tacco non troppo alto e un giubbino a vita alta.

Ricordo l’emozione, nel prendere l’autobus e poi la metropolitana e una volta arrivata a Piazza di Spagna, cominciai a percorrerla in lungo e in largo, un po’ impostata… Sandro avrebbe avuto l’opportunità di vedermi per prima e se avessi deluso le sue aspettative avrebbe potuto inventare una scusa e non incontrarci. In realtà non credevo affatto ad una simile opportunità, il suo amore era tangibile, reale, irrinunciabile. Però… non si sa mai! Quando mi telefonò, dicendomi che non poteva raggiungermi perché avevano bisogno della sua presenza in ufficio, mi sentii sprofondare. Sedetti ai bordi di una fontana, in precario equilibrio e senza neanche rendermene conto iniziai a piangere. Non c’erano singhiozzi né singulti, mentre Sandro continuava a scusarsi, solo lacrime che scendevano senza posa.

Non riuscivo a rendermi conto, non volevo capacitarmi: possibile che tutto quanto credevo del nostro amore potesse essersi sciolto come neve al sole? Non mi sentivo per niente bruttina, comunque non tanto da giustificare addirittura un non volermi vedere. Continuavo a ripetermi tra me e me “non è vero, è il più terribile dei tuoi incubi” sino a che una passante, mi si avvicinò, chiedendomi se mi sentivo bene. Non era un incubo, Dio mio era vero: Sandro non voleva vedermi! Mi riscossi e all’improvviso mi sentii totalmente perduta: cosa avrei dovuto fare ora? Continuare a sentirci per telefono per tutta la vita? Accontentarmi delle sue lettere, dei suoi momenti liberi dagli impegni di lavoro? E tutti i miei sogni, che per me erano soltanto un guardare avanti nel nostro futuro? Se mi avesse tolto quella sicurezza, forse non sarei stata più capace di sognare…

Tornai a casa, decisamente sconvolta. Sandro sembrava non accorgersene, addirittura pensava già al nostro prossimo incontro. Perché mi faceva questo? Perché umiliarmi così? Voleva vedermi di nuovo, per poi nuovamente decidere che non ero alla sua altezza, non abbastanza bella da sostenere i suoi sguardi, il suo amore? Così inventavo scuse, ogni volta diverse.

Poi… il caso. Ero a casa da sola, un pomeriggio. Avevo tra le mani le ultime fotografie che Sandro mi aveva inviato, lo raffiguravano a torso nudo sulla spiaggia. Ero ancora incredula rispetto al suo comportamento… e poi come poteva essere… al posto suo, anche se non avessi riconosciuto in lui il principe azzurro che avevo sognato essere da quanto l’avevo conosciuto, mai avrei disprezzato l’opportunità di farmi accarezzare dalle sue mani, di prendergli il viso tra le mie, di perdermi nei suoi occhi… mentre riflettevo su queste possibilità, squillò il cellulare: riconobbi il numero, era Sandro e fui tentata di non rispondergli. Mi sentivo uno straccio e questo era dovuto al suo comportamento. Ma poi risposi, non avrei mai rinunciato a lui, neppure sapendo di non piacergli. Non esiste dignità nell’amore. Mi disse che si trovava sotto il portone di casa mia, o scendevo io o saliva lui. Ovviamente non sapeva che ero sola a casa, altrimenti la domanda non l’avrebbe posta! Fui presa dal panico, fino a non capire più nulla. Come poteva essere che mi aveva rifiutata pochi giorni prima e ora addirittura veniva sotto casa mia pur di potermi vedere? Ero come istupidita, frastornata da qualcosa di più grande di me. Passai davanti allo specchio per un velo di trucco, poi pensai che tanto non gli piacevo comunque, a che serviva? Indossai freneticamente il cappotto, presi le chiavi di casa e scesi. Lo intravidi, attraverso il portone di vetro, non vista. Dio com’era bello, come lo avevo sempre immaginato, anzi di più. Gli stessi tratti del volto, la stessa signorilità nel modo di rapportarsi col mondo… era il mio Sandro. Sospirai… io però non ero la “sua” Barbara, non quella che lui aveva sempre sognato.

Gli telefonai, non vista, dicendogli che stavo scendendo, volevo il conforto della sua voce, tanto amata, nel momento in cui ci saremmo incontrati.

Mi incamminai, aprii il portone e sentii la sua voce all’auricolare, stupita, beatamente meravigliata: “Ma… sei bella!!!”.

E io che bella non sono, ritornai alla mia troppa insistenza nel volermi a tutti in costi imbruttire, ai suoi occhi, perché non fosse deluso della mia presenza.

Poi, ad occhi bassi e senza neppure un ciao di benvenuto mi allontanai dal portone, avviandomi verso una strada limitrofa. Non ricordo cosa dissi, ero troppo turbata, ricordo mi tremavano le mani e per questo le tenevo ben nascoste nelle tasche del cappotto.

Fu questione di pochi momenti, il tempo di capire che l’appuntamento era stato spostato perché Sandro era stato realmente trattenuto in ufficio. Non era mai venuto a Piazza di Spagna, non mi aveva mai visto. Credo di non aver mai provato in vita mia una felicità più grande! Cominciai a piroettargli davanti, devo essergli sembrata una vera stupidina! Poi gli chiesi un bacio, per dimenticare la tristezza di quei giorni. Sandro fu piuttosto tiepido, o meglio, forse era ancora più emozionato di me! Già… molto molto emozionato, incredulo. Continuava a guardarmi, come se non fossi veramente li. Non distoglieva mai lo sguardo, come temendo che bastasse chiudere gli occhi perché la mia persona potesse scomparire. Continuava a ripetere il mio nome, guardarmi, sorridere e scuotere il capo. E il primo bacio… due labbra morbide che si accostarono alle mie, lasciando impresso un calore misto ad una forza tale da suggerirmi che potevo solo schiudere le mie, per lasciar penetrare una lingua dolce, amorevole, selvaggia e tenera insieme che cercava la mia in un abbraccio quanto mai intimo. Mi sentii sollevata da terra, anche se so benissimo che i miei piedi non persero mai il contatto con il suolo e poi… e poi passammo un’ora a guardarci, increduli, ad osservare come incantati le labbra che si muovevano mentre ascoltava le nostre voci, tanto diverse rispetto a quelle cui eravamo abituati al telefono! Continuavo a guardarlo, non volevo credere che una fortuna tale era toccata proprio a me! Dio com’era bello il mio amore.. bello bello bello! E che meraviglia stringere una sua mano, accostare il mio viso al suo, aspirare il suo profumo… salutarci fu difficile tanto quanto lo era stato salutarci per la prima volta… intervenne il fato, ancora una volta in nostro aiuto, una telefonata di Daniel e per salutare il mio ritrovato amore non potei che sussurrare alla cornetta del cellulare un “ciao Piccolo”, con gli occhi ancora lucidi per l’emozione, con la certezza nel cuore che avevo ancora tanta felicità da donare e da ricevere, dall’Aria Eterna.

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