martedì, luglio 04, 2006

Roberto ed Alberta

Roberto e Alberta. Due nomi che non erano i nostri. Due personalità dietro alle quali si nascondevano persone che sentivano forte il bisogno di dare. Innegabile quanto sin dall’inizio la nostra percezione del bene e del male fosse totalmente profusa verso ciò che poteva essere il bene dell’altro. Solo dell’altro.

Roberto e Alberta volevano solo amare. O, meglio, Sandro e Barbara volevano solo amare.

Quando confidai a Sandro il mio vero nome, dopo lungo tempo da quando lui mi svelò il suo, lo feci con il timore grandissimo che quella piccola bugia, potesse fargli perdere interesse nei miei confronti, che le bugie l’avrebbero potuto allontanare. Lo dissi dopo mille preamboli, facendomi promettere che nulla sarebbe cambiato fra noi. Poi le sue prime parole furono che il mio nome gli piaceva enormemente. Non solo il mio nome, ma anche della mia professione era estremamente affascinato.

Avevo paura, all’inizio. Paura forse anche di lui, ma soprattutto delle emozioni e delle sensazioni che riusciva a provocare in me. Mi attraeva tanto da esserne rapita e stupita e questo mio darmi completamente mi intimoriva, mi allarmava. Perché sentivo la necessità di confidargli tutto di me?

Gli scrissi una lettera, impaurita. Lo pregai di aiutarmi ad alzare un muro, che fosse rinforzato, cemento armato, non potevamo permetterci di pensare a qualcosa di diverso che a un discorso nato e da far continuare solo in una chat, tra noi.
Mi rispose “ti prometto che il muro sarà ferreo, sto già prendendo lezioni da muratore...”
Avevo comunque creato questa specie di paravento, un’identità che non mi apparteneva, una città in cui ero vissuta e che quindi conoscevo come le mie tasche, Ferrara, ma dalla quale mi ero allontanata da tempo.

Sandro una mattina si mise a farmi strane domande «Abiti da sola? A che ora ti alzi la mattina? Hai la voce assonnata appena sveglia?» Risposi ai suoi quesiti quasi fosse un gioco. Mi aspettavo in effetti una specie di quiz e in base alle risposte fornite presumevo Sandro avrebbe fatto un profilo della mia persona.

Invece non accadde niente di tutto questo: l’indomani mattina mi disse che aveva telefonato a tutte le ragazze che corrispondevano al mio profilo: al giornale avevano un data-base aggiornatissimo. Aveva provato a fare alcune domande e non contento aveva infine telefonato all’Università.

A quel punto infatti avevo confessato il mio nome e la mia professione, ma non avevo detto ancora di vivere a....

Al centralino dell’Università aveva detto di avermi incontrato ad un convegno svoltosi poco tempo prima, ma di non ricordare il mio cognome: la centralinista, gentilissima, cercò di aiutarlo, ma, ovviamente, la ricerca fu vana.

Quando mi raccontò di queste ricerche, mi parvero talmente assurde da non volerci credere: Sandro mi aveva dato da sempre l’impressione di essere una persona molto affidabile, “serio e corretto” amava definirsi, quindi non volli credere ad una delle sue parole, le presi per uno scherzo, anzi per un modo molto discreto di farmi la corte, come a farmi capire che avrebbe potuto farlo, ma che non lo avrebbe mai fatto, per rispetto alla mia persona.

Mesi dopo, quando ciò che ci aveva unito veniva di giorno in giorno concretizzandosi maggiormente, scoprii invece che le sue non erano bugie, ma innegabili realtà: se avessi minimamente sospettato che quelle telefonate erano state veramente fatte avrei troncato quel rapporto sul nascere, mentre invece è stato ed è il grande amore della mia vita

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